Zucca


1845: Tilde Beduschi seguendo il consiglio del medico, è solita prepararsi un decotto al rabarbaro e suo marito, Ettore Zucca, non perde l’occasione di infonderlo nell’alcool, creando così un aperitivo incredibile.

Il figlio Carlo trasforma l'iniziativa paterna in attività industriale e i nipoti, Emilio e Gerolamo, ne espandono il commercio oltre la città meneghina.

La sua produzione da Corso Loreto 33 (c.so Buenos Aires) si sposta negli stabilimenti di via Farini 4.

L'apertura dei "Caffè Zucca" (Milano, Torino, Parigi) alla vigilia della Prima Guerra Mondiale fanno del Rabarbaro Zucca un aperitivo e digestivo di gran moda.

Tra i frequentatori del Caffè Zucca di Milano, locale che ha fatto la storia della città, si annoverano personaggi come Giacomo Puccini, Edmondo De Amicis, Arrigo Boito o Attilio Manzoni, fondatore della prima agenzia di pubblicità italiana. Anche Giovanni Battista Pirelli, Fausto Coppi e Totò sorseggiano un buon caffè nel bar che risulta essere tra i preferiti di re Umberto I.

L'amaro prende il gusto del suo ingrediente principale, il rabarbaro, a seguito di infusione alcolica per 10 giorni. I rizomi della pianta gli conferiscono un sapore dolceamaro.

L'infusione prevede la presenza di altri ingredienti: bucce d'arancia amara, grani di cardamomo, del chinino, e, come gli altri amari, una mescolanza di erbe aromatiche.

Il Rabarbaro Zucca è un amaro italiano dotato di un titolo alcolometrico di 16°, è in genere consumato come aperitivo, liscio o allungato con acqua gasata e cubetti di ghiaccio, fresco o, più di rado, leggermente riscaldato. Può entrare anche come ingrediente di vari cocktail.

Diverse pubblicità e oggetti derivati mostrano, a partire dagli anni sessanta del Novecento, una ragazza dai tratti asiatici vestita per intero di rosso e inginocchiata con le braccia tese in avanti in modo da formare la Z di Zucca, volendo evocarne l'origine geografica e l'utilizzo officinale nella medicina cinese della pianta del rabarbaro.

Per oltre un quindicennio, dal 1996 al 2012, il nome del rabarbaro sostituisce quello di "Camparino" sulle insegne di uno storico locale milanese, il Caffè Camparino in Galleria Vittorio Emanuele II, sull'angolo verso piazza Duomo.

Il marchio è oggi di proprietà del gruppo industriale ILLVA Saronno (VA), la patria dell’Amaretto a pochi chilometri da Milano.